Mattia Campo dall’Orto (1980), si laurea cum laude in Scienze Internazionali e Diplomatiche a Gorizia nel 2006. Viene introdotto al Writing nel 1997, segue parallelamente agli studi un percorso artistico antiaccademico, ottenendo premi e riconoscimenti in concorsi nazionali e internazionali, con mostre personali e collettive in Italia e all’estero. Le principali tematiche affrontate, come artista e come ricercatore, sono la memoria e il conflitto. Sperimentando diversi medium desidera esprimere o superare i limiti della scienza/conoscenza al fine di creare un linguaggio altro. Il sistema rappresentativo diventa una struttura aperta a dubbi, questioni, ambiguità e forse proiettata verso possibili soluzioni. Le sue figure spesso sono ibride, sezionate, incomplete e frammentate, stratificate in una mitologia contemporanea; il lettering le accompagna o addirittura le sostituisce, riportando l’attenzione sulla metamorfosi continua del graphos, il segno che caratterizza o cancella o distrugge.
Come operatore culturale sviluppa progetti transfrontalieri nell’ambito dei nuovi linguaggi urbani e dell’Arte Pubblica. Ha coordinato e realizzato interventi di muralismo in collaborazione con istituzioni ed enti di rilievo, tra cui Rete Ferroviaria Italiana. Ha ideato e condotto progetti di Creatività Urbana a livello europeo, con attività in Italia, Spagna, Slovenia Austria e Germania. Dal 2006 al 2012 ha collaborato con la Cattedra di Antropologia dell’Università di Trieste conducendo ricerche sulle forme contemporanee di espressione e creatività nelle sub-culture urbane e tenendo conferenze e seminari presso diverse istituzioni italiane. Attualmente è referente dell’ACU Macross nel Friuli Venezia Giulia per INWARD-International Network on Writing Art Research and Development.
LA VIA
L’opera vuole relazionarsi con l’ambiente e l’attività antropica, richiamando la presenza del fiume Torre e l’incessante sminuzzamento delle rocce ad opera della corrente così come per mano dell’uomo. Una figura femminile, con una roccia sospesa su una mano e un fiocco di neve impresso nell’altra, allegoria della montagna, massa di pietra su cui si posa la neve e dalla quale scendono rivoli, torrenti e fiumi.
La montagna è il tramite in un ciclo vitale che dall’alba dei tempi le restituisce l’acqua, la quale le scorre addosso scavando e spaccando le rocce.
Il corpo della montagna lascia intravvedere la via lattea, un’infinità di stelle e pianeti anch’essi coinvolti in un ciclo, le cui dimensioni ed età superano l’umana immaginazione. Il cielo stellato, protagonista delle notti terse in alta quota, riflette l’inarrestabile movimento cosmico.
Che si tratti dei Monti Musi o del Monte Everest, la grandezza della montagna ispira riverenza e rispetto, porta l’essere umano alla contemplazione e, ci si augura, a ridimensionare l’ossessione di dominio sugli elementi, sentendosi parte di una pacifica e rigenerante esistenza circolare.