Pittore e scultore, nasce nel 1954 a Buenos Aires da una famiglia di emigranti friulani. Studia presso la Scuola Nazionale di Belle Arti della capitale Argentina e successivamente presso la Scuola di Arte e Mestieri G. da Udine. Vive e lavora in Italia, a S.Giorgio della Richinvelda (PN) fraz. Provesano – via Boschetto.
Alfredo Pecile nonostante la formazione cha varia in molte arti, negli ultimi anni si dedica principalmente alla scultura, lavorando materiali diversi. In particolare sperimenta i vari tipi di pietra, tecniche diverse su legno e cemento, assemblaggi e riciclaggi di materiali contemporanei quali la plastica. Con quest’ultima materia svolge attività laboratoriali rivolte particolarmente ai bambini e realizza installazioni in diversi contesti ambientali.
Collabora con musicisti ed attori alla realizzazione di performances multidisciplinari tramite azioni pittoriche e scultoree collegate a tematiche musicali e letterarie. Ha realizzato opere scultoree in diversi simposi di scultura su pietra, legno e ceramica.
I DRAGHI
Lavorare con materiale di riciclo assume, per quanto riguarda l’artista, molteplici significati. Si tenta di trasformare lo scarto assegnandogli connotazione estetica, nuova forma e nuovo significato. Niente a quel punto è da gettare, tutto può ritrovare altra vita e collocazione, altro senso.
Importante però che dello scarto si conservi la memoria iniziale, per cosa nasce, a cosa è servito, chi costruì l’oggetto all’inizio, cosa racconta del passato, del presente, del futuro. Si tratta alla fin fine di evitare il rischio di una estetica fine a sé stessa, non dialogante, non portatrice di seppur minimo contributo all’attuale dibattito sul futuro del pianeta e dell’umanità che lo cammina. Passato, presente e futuro devono costruire una narrazione compiuta, uno sguardo multiplo che aiuta a vedere.
L’utilizzo di una struttura verticale a questo punto si impone, tanto più se la struttura in ferro che persiste ricorda una rampa di lancio. Ben piantata in terra, immediatamente richiama alla memoria l’uomo, il suo sforzo, la sua determinatezza, le sue capacità, la sua fatica fisica ed intellettuale, la sua irriducibilità. Un passato fatto di lavoro, di pensiero sul come alleviare la fatica operaia (dagli scariolanti alla movimentazione meccanica della ghiaia il processo non è stato breve né indolore), e ora un presente fatto di staticità, di inutilità, quasi un lamento rivolto al cielo.
Eppure, seppur fissa, immobile, degradata, la struttura continua a ricordare una rampa di lancio, un desiderio di ripartenza verso universi fisici e mentali tutti da percorrere. Cerca qualcuno che con nuovi obiettivi la usi affinchè possa assumere nuovo auspicabile ruolo. Aria, acqua, terra e fuoco non hanno confini, sono draghi potenti, nessuno li può fermare, nel bene come nel male. Gli si deve rispetto, non sterile paura. I draghi convivono con gli umani da sempre, osservano dall’alto, ammoniscono spesso inascoltati. C’erano prima, ci sono ora e ci saranno dopo. A volte riposano stremati, si nascondono, a uno sguardo distratto possono sembrare morti tubi di plastica intrecciati in colorati grovigli.
Basterà richiamarli, districare li groviglio, aiutarli a riaprire le ali, ripulirgli le fauci, e portarli poi alla rampa di lancio. Li, da soli, riprenderanno il volo eterno, sorvoleranno vette e pianure, fiumi e mari, città e deserti. I draghi conoscono il passato, il presente e il futuro, sanno chi siamo stati ieri, chi siamo oggi e come dovremo essere domani.
Se saranno angeli custodi o demoni distruttori dipende da noi, piccole formiche di un universo che con folle arroganza pensiamo conquistato e depredabile, un universo dove persino la vita umana abbiamo ridotto a scarto. Loro, i draghi, ci sono, volano in alto, ci guardano e ci giudicano, e in conseguenza agiscono. A noi spetta capire in tempo l’ammonimento: “state davvero superando il limite, fate tesoro di quanto vi resta, niente deve più essere scarto, tutto dove tornare bellezza”.