Alfonso Firmani

Si è formato a Venezia (città fatta di materia, di bellezza e riflessi) in quellintenso clima culturale della fine degli anni 70 che caratterizzava la scuola di architettura dello I.U.A.V. Si è scelto alcuni maestri nel campo dellarte ( Kounellis, Kiefer e Boltanski) che non ha mai conosciuto e altri maestri del pensiero (con cui ha avuto più fortuna, facendo la loro conoscenza, come Rella, Cacciari, Tafuri, Galimberti) che, con i loro scritti, sono stati e sono preziose guide nel suo lavoro.

Ha conosciuto bene città e mari nelle quali ha respirato storie e suggestioni che hanno prodotto e continuano a produrre domande che diventano parte sostanziale delle mappe della sua ricerca artistica.
Nel 1982 ha aperto a Udine il suo studio professionale e dal 1987 è docente di progettazione architettonica e progettazione scenografica presso il Liceo Artistico Sello. L’inizio della sua attività artistica risale agli anni ’70.

E’ stato tra i fondatori del gruppo “Magazzino” con il quale ha esposto a tutte le mostre del gruppo e, più recentemente, è stato tra i fondatori del gruppo artistico CasAltrove con il quale ha realizzato molti progetti artistici di rigenerazione urbana.
Ha esposto in numerose mostre personali e collettive a Parigi, Venezia, Novara, Vercelli, Vienna, Bologna, Udine, Vilnius, Portogruaro, Dolo (Venezia) e in altri luoghi della regione.

POETICA
La sua ricerca in campo artistico sperimenta contaminazioni tra diversi linguaggi.
Le composizioni si ispirano ai temi strutturanti larte contemporanea e alla capacità dei suoi linguaggi di rivelazione e di evocazione.
L’impianto poetico è basato su un’idea evocativa di una narrazione sviluppata attraverso la tecnica compositiva delle corrispondenze e il loro automatismo inconscio, profondo, in grado di svelare direzioni di senso orientate alla formulazione delle giuste domande.

I suoi lavori sono molto spesso ispirati dallo spazio in cui opera, spazio che viene inteso come un impianto drammaturgico allinterno del quale il tema viene messo in scena.
Una sorta di autonomo microcosmo dove tutto succede e si risolve nelle corrispondenze tra i vari elementi, dove tutto si raccoglie e parte verso l’ignoto approdo di chi guarda.

ANTOLOGIA DEI RACCONTI TRADITI

L’intervento installativo parte dalla scelta del sito all’interno del parco. La ricerca è stata quella orientata a trovare una struttura capace di suggerire delle dinamiche compositive ispirate alla verticalità.
La torre scelta ha una sua dignità architettonica; il suo carattere quasi stilizzato, frutto di un processo pienamente funzionale, raggiunge degli esiti estetici minimali ed enigmatici che possono trovare una contemporanea evidenza nell’ipotesi di una sua riconversione e rigenerazione in chiave artistica. Le sue proporzioni tendono decisamente alla verticalità. Questa è una prima condizione di congruità al tema proposto quest’anno che, se abbinato all’idea di far vivere una nuova vita a una struttura immeritatamente destinata all’oblio, centra anche un secondo obbiettivo.

Descrizione dell’intervento installativo.

Alla base del progetto c’è la convinzione che l’arte contemporanea debba riprendere un ruolo centrale nella nostra percezione del mondo allontanandosi con decisione da quelle strutture dialettiche consolatorie e pavide che hanno il compito di rimuovere scomode verità. Questa è e deve essere la sottile eversione dell’arte, eversione perturbante attuata attraverso i suoi molteplici linguaggi capaci di trovare maggior forza nella loro contaminazione e ibridizzazione.

Una delle più macroscopiche rimozioni del nostro tempo malato riguarda indubbiamente la crisi climatica. Troppo spesso il “bla bla bla” sull’argomento lo riduce a un festival delle buone intenzioni teso a ripulire le coscienze di una “civiltà” bulimica che non sa arginare la sua irresponsabile e stupida corsa verso l’abisso. Questa corsa folle è supportata da una politica schiava dell’economia che, drogata dall’idea più o meno consapevole dall’estensione di un tempo presente che fagocita ogni idea di futuro, è sensibile solo a parole alle narrazioni scientifiche che da ormai molti decenni avvertono della deriva suicida presa e mai adeguatamente corretta.

Non è questo il contesto per elencare tutti i rapporti della comunità scientifica che, a partire dal lontano 1956 passando dal 1992 (quando il presidente americano G. Bush dichiarò “the American way of life is not up for negotiations”) e arrivando fino ai nostri giorni, hanno invano avvertito e documentato la direzione presa all’umanità.

Questi “racconti traditi” sono evocati al centro di questa composizione. Sono evocati all’interno di una drammaturgia che è costituita da un insieme di scritte che seguono la direzione verticale della struttura scelta per l’installazione, sottolineata ulteriormente dall’andamento delle lamiere grecate del tamponamento laterale e dialoganti con i libri fissati sulle superfici verticali.

Verticalità come direzione compositiva sublimante, dal sapore antico della preghiera (inascoltata).
Sulle 3 facciate chiuse, sono posizionate le serie di libri aperti (impermeabilizzati ) che nel

tempo invecchieranno come tutto ciò che è passibile di trasformazione e di oblio. Anche la progressiva e lenta consunzione fa parte del processo artistico previsto.
I libri
L’arte deve suggerire direzioni oblique, perturbanti allinterno dello spazio delloscillazione tra orrore e bellezza, tra bellezza e ferita.

Un libro aperto è una storia che vuole raccontarsi. Nel caso di questa drammaturgia, i caratteri diventano illeggibili a causa della cocciutaggine di chi li ha negati, di chi li ha traditi non prestando loro la salvifica attenzione che esigevano.
È
questo il tratto perturbante: una serie di libri aperti ridotti a essere muti, ridotti al silenzio. L’arte deve porre più che risposte corrette, domande che possano suggerire direzioni di senso dentro le quali il fruitore possa porsi.

Forse la domanda è “c’è ancora tempo, c’è ancora possibilità di salvezza?”

Primo qualificato